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28.11.07
Chavez attacca, Uribe risponde sullo stesso tono. A tre giorni dalla fine della mediazione venezuelana nello scambio di prigionieri, esplode la crisi diplomatica.
Manca solo che si dichiarino guerra. A tre giorni dal brusco stop imposto da Alvaro Uribe alla mediazione di Hugo Chávez nello scambio di prigionieri in Colombia, quest’ultimo non ha saputo, o voluto, trattenere la rabbia.
Con un linguaggio durissimo, ma tipico della sua indole, il presidente venezuelano ha dichiarato di non credere che Uribe voglia la pace, l’ha definito codardo, traditore, bugiardo e «non degno del suo paese» e ha annunciato il congelamento delle relazioni tra i due paesi.
Sebbene meno carica di aggettivi, la risposta di Uribe è stata dello stesso tenore:Chávez vuole incendiare il continente e fa il gioco delle Farc, «legittimando il terrorismo». Sul perché abbia stoppato Chávez, Uribe ha cambiato versione: la colpa non starebbe più nella telefonata del presidente venezuelano al comandante dell’esercito colombiano di una settimana fa, ma nel contenuto del colloquio che l’altra mediatrice, la senatrice liberale Piedad Córdoba, avrebbe sostenuto con il leader guerrigliero, Simón Trinidad, in una saletta della prigione statunitense, dove questi è detenuto.
Secondo Uribe, i due avrebbero parlato della necessità di instaurare in Co-lombia un governo di transizione (con l’appoggio delle Farc), che rappresenterebbe un vero e proprio cavallo di Troia del «progetto espansionista» del governo di Caracas. L’episodio prova che gli Usa (mettendo da parte la preoccupazione per i loro tre agenti, in mano alle Farc da 5 anni, che li aveva indotti a una sorta d’attendismo) abbiano ripreso a tirare le fila di Uribe, pur di bloccare l’avanzata di Chávez nella regione. Ma rivela anche il nervosismo di Uribe, rispetto alla tenuta del suo governo, frastornato da continui scandali e dallo scontro tra la rampante oligarchia mafiosa e paramilitare (che lui rappresenta degnamente) e una parte dell’oligarchia tradizionale, spodestata dai «nuovi ricchi».
Dopo «le dichiarazioni tropicali dei due presidenti», come le ha definite l’ex ministro Rodrigo Pardo, si manifestano soprattutto preoccupazioni squisitamente economiche. La Colombia e il Venezuela scambiano annualmente merci per cinque miliardi di dollari e sono l’uno per l’altro il secondo partner commerciale dopo gli Usa. Gli scongiuri si sprecano soprattutto a Bogotà: dopo la caduta del dollaro, il mercato venezuelano rappresenta la salvezza per buona parte dell’industria manifatturiera colombiana.
La prima ritorsione ufficiale di Palacio Miraflores in campo economico è l’annuncio del rifiuto di riconsiderare un ritorno nella Comunità delle Nazioni Andine (Can): Caracas continuerà quindi a privilegiare i rapporti con i colossi del sud, come Brasile e Argentina.
Sebbene si preveda che i diplomatici cominceranno presto a mettere insieme i cocci, il futuro delle relazioni tra Colombia e Venezuela è quanto mai incerto. Dopo gli insulti e le accuse delle scorse ore, sembra impossibile che Uribe e Chávez possano riprendere un dialogo comune. Nelle due capitali albergano, nemmeno tanto nascoste, speranze che l’uno o l’altro presidente paghino un prezzo per l’attuale crisi.
Il primo test sarà il referendum costituzionale previsto domenica prossima in Venezuela. Il direttore del quotidiano El Tiempo, Enrique Santos (della stessa famiglia del vicepresidente e del ministro della Difesa di Uribe) ha attribuito le parole di Chávez alla volontà di generare un’ondata nazionalista utile per mobilitare l’elettorato popolare.
Per ora la crisi diplomatica getta nella disperazione soprattutto i sequestrati e i loro familiari. Il loro torna a essere un dramma privato, sebbene qualcuno speri in una mossa a sorpresa di Nicolas Sarkozy, diviso tra la ragion di stato e il suo protagonismo «umanitario».
È prevedibile che sugli accampamenti, nei quali sono custoditi, si scateni, ancora di più che in passato, la furia dei bombardieri: quella aerea, d’altronde, è l’unica guerra (oltre a quella «sporca» dei paramilitari) che lo stato colombiano sembra in grado di vincere. Intanto, ben salda e nascosta, la Comandancia delle Farc non può che compiacersi di quanto è successo: il compagno presidente della «hermana» repubblica bolivariana, dopo qualche mese di tentennamenti, afferma quello che le Farc dicono da anni. Anzi, da sempre.
28/11/2007
G.P.
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