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14.10.09
Di Eric Schwartz – IPO
Prova di bomba nel campo di tiro statunitense di Vieques, Puerto Rico
La bomba statunitense che assessinò Davis Sanes nel 1999 non cadde durante un bombardamento in Iraq o Sudan. Sanes fu assassinato mentre lavorava nel suo paese natale, nella piccola isola di Vieques, che è parte della colonia statunitense Puerto Rico. Da più di 50 anni, la Armata degli Stati Uniti utilizzava due terzi delle isole Vieques come campi da tiro o per manovre militari, causando così, problemi cronici di salute tra i suoi abitanti e danni ambientali. La morte di David Sanes scatenò un movimento di massa di disobbedienza civile per esigere la chiusura dei cambi di tiro. Pescatori locali entrarono nel campo da tiro attraverso il mare, allo stesso tempo centinaia di residenti dell’isola e simpatizzanti tagliarono i recinti militari per occuparlo, obbligando la Armata a sospendere i bombardamenti. Ogni volta che le truppe statunitensi cacciavano i manifestanti dalla zona ristretta, pochi giorni dopo riuscivano a rientrare. Dopo una lunga campagna di di mobilitazioni, che contò con il forte appoggio dei movimenti sociali di Puerto Rico e internazionali, nel 2003 il governo statunitense annunciò che le Forze Armate statunitensi si sarebbero ritirate dal Vieques.
Mentre gli Stati Uniti continuano ampliando e affinando la loro presenza militare in tutto il mondo, la popolazione che convive con le basi militari statunitensi, come nel caso di Vieques, continua a lottare per eliminarle. I movimenti sociali contro le basi straniere coordinano le loro campagne attraverso la rete internazionale “No Bases”. C’è tanta diversità di ragioni in contro alle basi quanta diversità di paesi. In Corea del Sud, la rete di basi militari nordamericane si sta ristrutturando per fronteggiare il crescente potere della China, senza dubbio si spiega per la paura a un attacco dalla Corea del Nord. Dopo che gli Stati Uniti mandarono degli aiuti alle vittime dello tsunami dell’Asia nel 2004, il governo statunitense riattivò una base in disuso, argomentando che le basi potrebbero essere necessarie per azioni umanitarie. In cambio in Iraq, le giustificano come parte della lotta per la difesa de la democrazia. Un’altra spiegazione è quella che fornisce la Officina di Programma di di Informazione Internazionale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, quando afferma “in alcuni casi, la prossimità a una base statunitense offre alle forze della nazione anfitriona uno scorcio locale per osservare le relazioni civile-militari e mostrare come il rispetto ai diritti umani è imprescindibile per uno stato democratico.”* Intanto, ai colombiani viene offerto un due per uno, la crescente presenza militare statunitense promette allo stesso tempo concludere con la guerrilla e combattere il narco-traffico.
D’altronde, in altre parti del mondo, gli Stati Uniti implicitamente ammettono che le basi sono orientate a intimidire e, se serve, attaccare paesi vicini che non si comportano bene. Le basi in Germania, installate da più di 50 anni per contenere l’Unione Sovietica, adesso si giustificano come garanti della “stabilità regionale.” Si utilizzano gli stessi argomenti ogni volta che si questiona la necessità della presenza militare statunitense in Arabia Saudita, Giappone, Yibuti in Africa Orientale, o Pakistan. L’utilizzo delle basi in Pakistan ha permesso alle truppe statunitensi attaccare i Talebani in Afganistan e, più recentemente, bombardare i “Talebani Pakistani” sulla frontiera Pakistan-Afganistan, assassinando allo stesso tempo la popolazione civile.
Gli accordi che permettono alle forze statunitensi di utilizzare le basi locali in Pakistan, come accordi simili in Colombia, Romania e Bulgaria, sono rappresentativi di un recente cambio nella strategia militare degli Stati Uniti. Sempre con più frequenza le super-basi statunitensi della guerra fredda si stanno sostituendo per l’utilizzo di basi più piccole, del paese anfitrione, sotto accordi col paese locale. La Officina del Programma di Informazione Internazionale ci informa che “c’è una sostituzione delle super-basi, che richiedono una infrastruttura di appoggio, per basi più piccole di sicurezza collettiva…(il Dipartimento di Difesa) sta dando più enfasi nelle relazioni militari che nel tenere basi formali visto anche l’utilizzo di basi locali facilita l’accesso però evita i costi e la vulnerabilità delle basi proprie”.* L’articolo si riferisce a che “un numero limitato di personale militare statunitense può ubicarsi, alternativamente, in posti avanzati di operazioni preparando per rispondere a problemi in qualsiasi paese dall’Emisfero Occidentale fino all’Africa.”
Qualunque sia la giustificazione del momento, l’obiettivo finale delle 823 basi statunitensi rimane lo stesso: manovrare i governi “problematici” o i movimenti sociali che sfidano il governo degli Stati Uniti o impediscono l’accesso alle loro risorse. Se fosse necessario, le basi offrono alle forze armate statunitensi l’appoggio logistico necessario a intervenire nei paesi vicini. Le truppe statunitensi offrono anche a eserciti locali allenamento e appoggio per operazioni contro-insurgenti e di guerra sporca contro i movimenti sociali.
E’ per questo, che movimenti sociali dalla Turchia fino alla Tailandia continuano ad organizzarsi perché non si stabiliscano le truppe statunitensi nei loro territori. A Vicenza, in Italia, attivisti locali occuparono temporalmente il luogo dove si sarebbe costruita la base aerea Dal Molin, e hanno mantenuto un accampamento permanente di protesta a lato al luogo da più di due anni. Attivisti anti-militaristi in Nuova Zelanda riuscirono nel 2008 a entrare nella base di massima sicurezza di Waihopai e far uscire le cupole che nascondevano vari satelliti spia ad alta potenza. Dal 2005 al 2007 contadini in Pyeongtaek, Corea del Sud, lottarono contro l’ampliamento di una base statunitense che alla fine espropriò terre e popoli. Appoggiati alcune volte da varie migliaia di simpatizzanti, i contadini resistettero a continui attacchi della polizia e a tentativi di distruggere le loro case, fino a che finalmente furono cacciati.
Una protesta campesina contro una base statunitense in Corea del Sud
I movimenti sociali sono riusciti a fare pressioni sui governi nazionali per chiudere le basi statunitensi in vari paesi. Negli ultimi vent’anni, sono state rimpatriate le truppe statunitensi dalle Filippine, Uzbekistan e Panama. Più recentemente, nel marzo di quest’anno il governo cecoslovacco cedette alla opposizione popolare e ritirò i piani per permettere al Pentagono di installare un radar militare statunitense. Anche quest’anno, dopo una lunga campagna portata avanti da gruppi di base in Equador, il governo di Rafael Correa in fine cacciò le truppe statunitensi dalla base Manta. In Okinawa, Giappone, la indigniazione per le violazioni commesse dai soldati statunitensi, tra le cuali, quella a una bambina di 14 anni da parte di un soldato della marina, aiutò a creare un movimento anti-base con il profondo appoggio popolare. All’inizio, questo movimento potette far pressione al governo giapponese perché rinegoziasse l’accordo militare con gli Stati Uniti, cosa che comportò la ritirata della metà dei soldati.
Le lotte contro le basi statunitensi e altre forme di presenza militare seguiranno in Colombia, Corea del Sud, El Salvador e altre parti del mondo dove le basi sono posizionate per proteggere l’impero statunitense. Confrontarsi con queste basi militari straniere può sembrare impossibile, ma non sono ne tanto invincibili ne eterne come potrebbe sembrare. Per dare alcun esempio, i soldati spagnoli che alcun tempo dominarono America Latina ritornarono in Madre Patria già da molto. Già non ci sono soldati romani a Londra, ne soldati giapponesi in Cina. Perché tutti gli imperi, per quanto potenti, nei suoi momenti più algidi, pure posso no cadere. I movimenti sociali della Colombia e di altri paesi resistono alle basi per liberare i loro paesi dal controllo schiacciante delle forze armate statunitensi. Importante allo stesso modo risulta il fatto che le loro lotte aiutano a debilitare l’impero statunitense e, magari, a farlo cadere.
*Jacquelyn S. Porth, Bureau of International Information Programs. U.S. Military Bases Provide Stability, Training, Quick Reaction. 27 de febrero 2007. www.america.gov/st/washfile-english/2007/February/20070227132836sjhtrop0.6571466.html#ixzz0RrtiwIMG