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Correa alla guida della crociata anti-Uribe

6.03.08

«Eravamo a un passo dalla liberazione della Betancourt e altri 11 ostaggi della guerriglia colombiana. Lo sforzo e l’avanzamento delle trattative potrebbero essere compromesse dall’attacco effettuato dalla Colombia e non escludiamo che l’obiettivo fosse proprio questo» afferma il Presidente dell’Ecuador Rafael Correa, che spiega perché nel computer di Raul Reyes, numero due della Farc, ucciso sabato scorso dall’esercito colombiano in territorio ecuadoriano, compaiano indizi relativi a un incontro tra Reyes e Larrea, ministro ecuadoriano della Sicurezza.
L’accusa di collaborazionismo con i «gruppi criminali del narcotraffico» viene dal generale Naranjo, capo della polizia colombiana, e anticipa la dichiarazione di Uribe di denunciare il Venezuela per genocidio. Il Presidente Correa, dopo aver schierato le sue truppe al confine ed aver dichiarato di essere pronto ad andare avanti sino all’ultima conseguenza per questo ennesimo affronto alla sovranità nazionale dell’Ecuador e del suo popolo rompe le relazioni diplomatiche con la Colombia e inizia una quattro giorni di viaggio (Perù, Brasile, Panama, Repubblica Dominicana, Venezuela e forse Nicaragua) per consolidare attorno a sé l’appoggio latinoamericano ed intervenire a S. Domingo alla Riunione del Gruppo di Rio.
Nel rapporto reso pubblico da Quito sull’attacco organizzato ai danni dell’insediamento nella zona nord-orientale dell’Ecuador, emerge che i guerriglieri morti sono 22 e non 17 come sostiene Bogotà, che non è possibile che sia stato un inseguimento «sconfinato incidentalmente» perché alcune delle vittime sono state trovate in pigiama e l’accampamento era 3 km all’interno della frontiera.
Correa, inoltre, sottolinea l’alta probabilità che per localizzare l’accampamento si sia utilizzato una «tecnologia prestata da una potenza estera» e che perciò «o il presidente Uribe è stato male informato o il Presidente Colombiano ha, sfacciatamente, mentito al Presidente Ecuadoriano».
Nonostante fin dall’inizio del suo mandato il Presidente Correa cercasse incessantemente di mantenere buoni i rapporti con il vicino, nonostante fosse entrato insieme a Uribe alla cerimonia di insediamento dell’Assemblea Costituente a Montecristi e avesse destituito la Ministra della Difesa, Maria Fernanda Espinoza, che tra alcuni errori avrebbe mancato, secondo il protocollo, anche, proprio nei confronti di Uribe, nonostante tutto ciò, e nonostante le continue richieste diplomatiche di sospendere le fumigazioni aeree, lungo il confine, questi sono i rapporti tra Colombia ed Ecuador.
Da una parte Uribe, figlio di un ricco haciendado accusato di essere membro della Farc, compare di Pablo Escobar durante il suo mandato da sindaco di Medellin, fido scudiero del suo omologo statunitense George W. Bush, sostenitore della politica neoliberista proposta dagli organismi internazionali, firmatario di un Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti che prevede accordi come fuoriuscite detassate dei capitali provenienti dagli investimenti fatti dalle imprese Usa in Colombia, senza obblighi di rispetto dell’ambiente o del lavoratore, o di inserimento negli organi direttivi di Colombiani.
Dall’altra il Presidente, socialista del secolo XXI, economista Phd dell’università dell’Illinois, amico di Chavez, carismatico e diplomatico, quasi alla prima esperienza politica.
Mentre Chavez schiera i carrarmati alla sua frontiera con la Colombia, e mentre Correa riceve l’appoggio di Fidel Castro, dalle colonne del Granma, l’ecuadoriano richiama a Quito l’ambasciatore a Bogotà, annulla il viaggio all’Habana, l’incontro con Raul Castro per organizzare la contro offensiva (speriamo) diplomatica ai danni della Colombia, vista come strumento di penetrazione, nel continente, degli Usa, ed asserendo che «non è un problema bilaterale, bensì di tutto il Continente».
E non è un caso che il primo incontro sia stato quello con Garcia, presidente del Perù, non schierato con il socialismo latinoamericano.

Federica Zaccagnini
www.ilmanifesto.it

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