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14.12.07
Con 4 milioni di sfollati interni, 18 etnie indigene e il maggior numero di sindacalisti e leader politici assassinati negli ultimi 20 anni, è un Paese dai primati negativi.
Da oltre 50 anni la popolazione colombiana convive con un conflitto interno che, lungi dall’essere oggetto di attenzione da parte della comunità internazionale, è in realtà uno dei più gravi in corso e fa della Colombia il paese con più sfollati interni dopo il Sudan.
La violenza generalizzata e la presenza di attori armati militari e paramilitari su tutto il territorio nazionale rendono la popolazione civile una delle principali vittime. Il Governo Uribe, ultimo bastione di Washington nell’area, ha contribuito ad acutizzare il conflitto militarizzando ulteriormente il territorio, firmando trattati di libero commercio lesivi per le piccole economie locali e imponendo megaprogetti di sviluppo dagli effetti spesso devastanti per le comunità residenti.
Con 4 milioni di sfollati interni, centinaia di migliaia di violazioni dei diritti umani ogni anno e migliaia di rifugiati all’estero, con il maggior numero di sindacalisti e leader politici assassinati negli ultimi 20 anni, la Colombia raccoglie una serie di primati che ne fanno un caso tanto complesso quanto emblematico.
Nel panorama di instabilità e illegalità che vive la popolazione, le comunità indigene sono vittima di un vero e proprio genocidio: 18 delle 92 etnie esistenti sono a rischio estinzione e centinaia di leader indigeni vengono assassinati ogni anno.
Nella casistica delle violazioni perpetrate a danno delle popolazioni native colombiane vale la pena ricordare la vicenda del popolo U’wa, che nel 1995 minacciò il suicidio di massa come extrema ratio per sottrarsi all’imposizione dell’estrazione petrolifera nel suo territorio. Gli U’wa sono uno dei popoli più remoti e mistici dell’America latina. Abitano le foreste del nord-est della Colombia e hanno vissuto isolati fino a quarant’anni fa. Secondo la cosmogonia U’wa il petrolio rappresenta il sangue sacro della terra, ed estrarlo corrisponde a un sacrilegio. Pur avendo ricevuto appoggio da movimenti sociali di tutto il mondo, la lotta degli U’wa non si è conclusa con una vittoria: le popolazioni hanno fatto fronte a un deterioramento ambientale e sociale, all’ulteriore impoverimento e a un aumento delle malattie. E sono ancora costrette a convivere con la presenza delle multinazionali petrolifere.
A livello generale, nonostante le notizie della propaganda di governo continuino a segnalare indici di criminalità in drastica diminuzione e una situazione di generale pacificazione, nella realtà le statistiche sui diritti umani, e in particolare quelle riguardanti i popoli indigeni, sono tutt’altro che confortanti.
Nei primi 8 mesi dell’anno oltre 160.000 indigeni hanno subito violazioni dei diritti umani, per una media di 46 vittime di violazioni gravi e 326 violazioni dei diritti collettivi al giorno. Nello stesso periodo sono morti per omicidio o omissione statale 260 indigeni, e oltre 30 sono spariti. Le violazioni più frequenti riguardano minacce di morte, sfollamento, tortura e sequestri, oltre ad assassini, detenzioni arbitrarie e violenze sessuali sulle donne delle comunità.
Altro dato allarmante è quello relativo all’impunità, di cui gode la quasi totalità delle violazioni: di oltre 30.000 paramilitari che hanno deposto le armi, molti dei quali responsabili di diversi crimini contro l’umanità, solo 55 sono stati processati e condannati.
di Marica Di Pierri – associazione A Sud
Fonte: Alternativamente, 13 dicembre 2007
http://www.alternativamente.info/index.php?option=com_content&task=view&id=1400&Itemid=69