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I giochi dello Stato colombiano. La Maria, Piendamó (Cauca), 13-19 maggio 2006

7.06.06

“Per una vita digna e la sovranitá nazionale: camminiamo la parola…” Con questa consegna varie organizzazioni sociali di tutta la Colombia hanno convocato un Vertice Nazionale Mobile, nel villaggio indigeno La María, Piendamó, Cauca, a partire del 13 maggio 2006. L’ obiettivo di questo vertice era creare meccanismi di coordinazione e comunicazione tra le organizzazioni sociali, per promuovere azioni comuni di fronte all’ attuale modello di sviluppo, il Plan Colombia, il TLC e la rielezione del presidente e per esigere che lo Stato rispetti, a partire da subito, gli accordi che ha firmato e che finora non ha rispettato. Questo vertice si é trasformato in un episodio di guerra, che ha messo in risalto la brutalitá e le politiche di repressione, menzogne e terrorismo dell’ attuale governo colombiano.
Piú di 16.000 persone, soprattutto indigeni del Cauca, si sono riuniti in quello che é stao dichiarato Territorio di Convivenza, Dialogo e Negoziazione, un villaggio guambiano, situato in mezzo a piantagioni di caffé e popolato da un gruppo indigeno che ancora non ha perso la sua lingua e le sue tradizioni ancestrali.
La riunione comincia il 13 maggio, con l’ arrivo della Guardia Indigena del Cauca e delle prime carovane di popoli. Il giorno 14 il villaggio de La María si riempie di tende. I popoli iniziano a riunirsi, scambiandosi inquietudini ed esperienze. Di notte si brinda, con chicha ( bevanda tradizionale indigena di mais fermentato) alla luna e alla voglia di giustizia che ha riunito tanta gente in uno stesso luogo.
Il giorno 15 il clima diventa inevitabilmente teso: tutte le organizzazioni presenti – di indigeni, contadini ed afrodiscendenti- sono d’ accordo sul fatto che é urgente che lo Stato compia il suo dovere nei confronti dei popoli colombiani. Tutti denunciano la negligenza del governo come uno strumento di oppressione dei popoli.

Il giorno 16 I popoli riuniti decidono di occupare la Panamericana, per sollecitare la presenza di una commissione del governo nel vertice. Si tratta di una misura senza dubbio estrema, ma esattamente conforme alle linee di azione di uno Stato che promette e non mantiene, che non vuole dialogare, ne’ cambiare, bensí continuare a ferire ed uccidere quei popoli che non stanno rivendicando nulla di piú e nulla di meno che i loro diritti naturali – la vita, la dignitá, la terra-. Il governo risponde a quest’ azione ordinando di attaccare gli indigeni. Alcuni poliziotti delle Squadre Mobili Anti-sommosse (ESMAD) attaccano i manifestanti con gas lacrimogeni. Gli indigeni si difendono alzando i loro bastoni. Le loro armi contro il fumo e gli agenti tossici sono: acqua, limoni e, soprattutto, la loro determinazione ad ottenere quello che é loro dovuto. Riescono a far retrocedere la polizia: le piante di caffé sono il loro scudo contro i proiettili che vengono sparati dopo i gas. Muore Pedro Coscué di Corinto, Cauca; molte persone rimangono ferite. Gli indigeni catturano tre poliziotti della squadra degli ESMAD: quel vestito da guerrieri delle galassie che li protegge da qualsiasi tipo di colpo, facendo loro credere che nessuno sará capace di sconfiggerli e che, proprio per questo, possono commettere qualsiasi tipo di barbarie, in realtá é ció che facilita la loro sconfitta,dal momento che li ostacola nei loro movimenti in mezzo alle piantagioni di caffé. Un’ ambulanza li trasporta all’ ambulatorio de La Maria, dove, assieme al resto dei feriti, sono curati da una brigata di medici ed infermieri volontari.

Pasa meno di mezz’ora e lo Stato cerca vendetta, con la furia di un gigante picchiato da un bambino, con una rabbia che non é cieca, bensí calcola freddamente dove e come colpir, affinché il dolore sia piú atroce. Si sente il rumore di un elicottero ed iniziano a cadere i gas: la gente corre, ma é molto piú difficile sfuggire ad un attacco aereo. I gas cadono sulla strada, sulle case, sulle piantagioni di caffé.Quello che si vede sono nuvole enormi di fumo. Quello che si sente sono le grida dei bambini e delle madri, mentre la Guardia Indigena cerca di proteggere la propria gente.
Mercoledí 17 si arriva ad un accordo con le autoritá statali: gli indigeni sgombereranno una corsia della Panamericana, fino all’ 1 del pomeriggio, ora in cui si attende l’ arrivo di una commissione del governo. Si avvicina l’ 1: arriva a La Maria il generale della Polizia Nazionale, che nessuno ha convocato e che vuole riunirsi con la gente. Arriva anche la notizia che la commissione é in ritardo e non potrá essere a La Maria prima delle 3 del pomeriggio.
Alle 3 non arriva nessuna commissione, bensí inizia un altro attacco, ancora piú violento degli ESMAD. Ë chiaro sin dall’inizio che le forze armate dello Stato non si sono mantenute a 2 kilometri di distanza da La Maria, come prevedevano gli accordi presi tra i manifestanti ed uno Stato al quale, a quanto pare, piace fare promesse, per poi non manternerle. Ci rendiamo conto che l’ esercito e la polizia hanno completamente circondato la zona. Gli ESMAD lanciano i loro gas: molte persone iniziano a correre per i campi di caffé, altre cercano di frenare l’ attacco spegnendo le bombe chimiche con acqua e fango. I piú veloci raccolgono i loro zaini e le loro tende – in realtá non si tratta solo dei piú veloci, bensí di quelli che giá hanno avuto varie esperienze con la brutalitá della polizia.- Rapidamente mi rendo conto che tutti quelli che hanno lasciato i loro bagagli nelle case, noi comprese, abbiamo giá perso tutto. Gli ESMAD hanno invaso il villaggio: mentre un cordone di poliziotti minaccia i manifestanti, non solo con gas, ma anche con bastoni con fil di ferro sulla punta , il resto brucia e distrugge tutto quello che non é possibile rubare. Bruciano l’ ambulatorio ed il centro di comunicazione, con tutta l’ attrezzatura ed il materiale raccolto durante il vertice. Bruciano l’ ufficio del governatore del villaggio, la mensa comunitaria, una bottega e due case. La scena é orribile: uomini vestiti di nero e di verde tra nuvole di fumo, che fanno fuori tutto.

Inizia a far buio. Con una bandiera bianca improvvisata si chiede una tregua per far uscire un ferito – un altro uomo colpito da un proiettile-. La gente inicia a contare i feriti ( piú di 30) ed i dispersi (piú di 15). Si parla di altri morti: un bambino ammazzato a colpi di bastone ed una donna indigena- i loro cadaveri ancora non sono apparsi-. Dopo che tutti questi crimini sono stati commessi, arriva una il Difensore Regionale del Popolo . Quello che fa é constatare i danni, organizzando una commissione che registri in che condizioni é stato lasciato il villaggio. In seguito se ne va, lasciando il popolo solo, di fronte alla notte e di fronte ad un gruppo sempre piú grande di poliziotti e militari. Sembra che abbiano intenzione di attaccare di nuovo: alcune persone corrono, altre rimangono tranquille, come una nostra amica, che giá ha vissuto esperienze simili in Japio e La Emperatriz. Dice che é normale aver paura la prima volta, peró che poi uno si abitua. Ci invita a passare la notte nella tenda dove dorme tutta la sua gente: accettiamo, dal momento che non abbiamo piú ne’ una tenda, ne’ coperte per il freddo dopo che le forze armate dello Stato hanno bruciato , assieme a quelle di tutti, anche le nostre cose.
Giovedí arriva una commissione formata dal Difensore Nazionale del Popolo, due senatori e le Nazioni Unite: tutti denunciamo la brutalitá dell’ attacco ed esigono che siano puniti i colpevoli. Qualcuno denuncia il Difensore per aver lasciato che la morte arrivasse prima di lui a la Maria. Una donna denuncia il furto di caffé commesso da alcuni poliziotti e due casi di violazione di due donne del vertice. Di notte il Difensore del Popolo se ne va: l’ esercito e la polizia continuano a circondare il villaggio; la gente dorme nelle tende, riscaldando con la propria allegria e la propria forza una notte con poche coperte, divise tra tutti.
Il venerdí si realizza lo scambio tra i poliziotti catturati dai manifestanti (solo 2, perché uno, in gravi condizioni di salute é giá stato consegnato) ed i 27 indigeni detenuti dai militari. I due ESMAD ringraziano la Guardia Indigena per il buon trattamento che hanno loro riservato. Nessuno intervista ufficialmente gli indigeni, ma i racconti che ho ascoltato narrano di percosse, insulti e minacce. Questo stesso giorno i militari abbandonano il villaggio e si installano in una casa ubicata esattamente di fronte all’ entrata al paese. Termina il sequestro di piú di 16.000 persone nel villaggio. La gente puó finalmente uscire e ritornare alle proprie terre, ma senza che siano stati raggiunti gli accordi sperati con il governo.
É stato un ulteriore gioco dello Stato colombiano con i suoi popoli. Un gioco crudele, dove le uniche regole sono state, una volta in piú, la trappola e la menzogna. Un gioco che si é concluso lasciando nell’ impunitá i crimini dello Stato e pretendendo di abbandonare all’ oblio le rivendicazioni dei popoli, le cui voci non sono state realmente ascoltate, peró sí hanno dimostrato che metterle a tacere non é cosa facile, ne’ possibile…
“Per una vita digna e la sovranitá nazionale: camminiamo la parola…”: la consigna é tuttora valida.

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