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24.05.07
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Il professor Veronesi, che è in tournée per sponsorizzare il suo libro-spot sugli organismi geneticamente modificati, ha detto che «gli Ogm dovrebbero cambiare nome: non più modificati, ma organismi geneticamente migliorati». Si vede che non tutte le ciambelle riescono con il buco, se è vero che per la seconda volta il mais MON863 di Monsanto, messo sul mercato nel 2005 sia per il consumo umano che per uso mangimistico, grazie al solito lasciapassare della Commisione europea, ha mostrato segni di tossicità per gli organi interni (fegato e reni). Il nuovo studio, pubblicato ieri dalla rivista Archives of Environmental Contamination and Toxicology, è stato condotto dal professor Gilles Eric Séralini, presidente del Comitato di ricerca e di informazione indipendente sulla genetica (Criigen).
«Le analisi di Monsanto – spiega Séralini – non superano un controllo minuzioso. I loro protocolli statistici sono altamente discutibili. Peggio, l’azienda non ha effettuato una sufficiente analisi delle differenze nel peso degli animali studiati. Dati cruciali dei test delle urine sono stati cancellati dal dossier dall’azienda stessa». Secondo lo studio, il consumo di mais MON863 provoca l’alterazione di diversi parametri biologici (peso di reni e fegato, tasso di globuli rossi e trigliceridi) e la modificazione dell’urina.
Effetti che variano a seconda del sesso. «Nelle femmine – spiega – si osserva un aumento dei grassi e del zucchero nel sangue e un aumento del peso del corpo e del fegato, il tutto associato a una grande sensibilità epatica; nei maschi, è il contrario, con una perdita di peso nel corpo e nelle reni». Greenpeace, che insieme a Carrefour ha finanziato lo studio (è complicato ottenere finanziamenti pubblici per fare ricerca indipendente sugli ogm), chiede il ritiro immediato dal mercato del mais Monsanto. «L’attuale sistema autorizzativo per gli Ogm non ha più alcuna credibilità dopo che è stato approvato un prodotto ad alto rischio nonostante chiare evidenze dei possibili pericoli», dice Federica Ferrario di Greenpeace. I dati in questione, infatti, sono stati oggetto di un feroce dibattito fin dal 2003, quando sono state riscontrare alterazioni nel sangue degli animali.
E’ la prima volta che un Ogm autorizzato per il consumo umano dà segni di tossicità nei topi da laboratorio, eppure è impossibile sapere se i cittadini se lo sono già mangiato (con una concentrazione inferiore allo 0,9% non c’è obbligo di etichetta). Di sicuro, invece, gli ogm vengono ingurgitati da tutti gli animali che forniscono carne e latte. O quasi. Il Consorzio produttori della Fontina, per esempio, ha fatto sapere che darà solo mangime «pulito» alle vacche da latte. Ma non tutta l’industria casearia ha il coraggio di dire no agli ogm per garantire prodotti sempre più qualificati, compresi quei formaggi che sono il nostro fiore all’occhiello del «made in Italy» nel mondo.
Fonte: Il Manifesto, 14 marzo 2007