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Colombia!

18.06.07

6.30 di mattina arrivo a Barrancabermeja. Un insolito pallido sole ci accoglie.
L’elicottero militare si confonde tra i fumi della raffineria. La massiccia presenza dei militari per le strade di Barranca, si intromette tra la gente, la frutta tropicale, le verdure.
È questa Colombia?!?
Lungo viaggio in canoa per raggiungere La coperativa, rispettando un tempo che non ha fretta, non ha ansia, che segue un ritmo fisiologico e umano.

Finalmente “el campamento de refugiados de la coperativa”. Fatale incontro con la sopravvivenza, la condivisione, le loro regole. Un’apparente armonica convivenza sembra quasi nascondere il senso di repressione della gente, la loro stanchezza, la loro noia , la loro intolleranza nei confronti di tutti quelli che li hanno costretti alla “resistenza”.
Arriva la notte, il riposo scandito dal suono dei grilli mentre il cielo è abbattuto dai lampi carichi di luce ed energia. Il giorno dopo l’arrivo è il momento dei racconti della gente, dei contadini. Attonita, mi ritrovo a comprendere, che seppur in un’area ricca di alberi e piante in grado di dare frutti nutrienti, i bambini e la gente non si alimenta bene. Solo case, non ci sono orti, tutto suscita una forte sensazione di attesa. Non ci sono semi per seminare gli orti, mi dicono i contadini. Mi domando: un contadino può non avere i semi per seminare?
Pensandoci bene mi accorgo che la domanda non è corretta. Un contadino sinonimo di capacità riproduttiva e adattamento può essere allontanato dalla sua terra, dai suoi averi, dalle sue piante, dal suo lavoro, dal suo piccolo grande mondo?
Può uno Stato, nascosto dietro una “guerra sucia”, privare i suoi contadini della facoltà di produrre e di auto-sostenersi in una prospettiva che vede un futuro migliore?
Oggi può uno Stato optare per uno sviluppo che sia solo per pochi e non per tutti?

Non voglio credere che a tutte queste domande la risposta sia si, però non posso far a meno di osservare la condizione della gente che nell’accampamento mi circonda e non posso neanche far a meno di riflettere su ciò che accade a pochi chilometri da loro, esempio: la costruzione della Panamericana.
La Panamericana è necessaria perché oltre ad unire gli Stati del Centro e del Sud America diventa mezzo indispensabile per poter trasportare, nel minor tempo possibile, generi di prima necessità, merci, persone. Quando la Panamericana sarà terminata agevolerà la vita di tutti i contadini e di tutte le persone colombiane o li isolerà negando loro il diritto di esaudire le necessità basiche e non solo?
E ancora, possono i contadini rifiutare, resistere, auto-organizzarsi?
È un loro diritto farlo, è un loro dovere non desistere!
I giorni si susseguono nel “campamento”, scanditi dai temporali, dalle riunioni, dalla stanchezza dell’incertezza. Il lentinario andare degli uomini manifesta la necessità di certezze, di risoluzioni. Quarto giorno arriva la morte di….. arriva imponente e dura, senza intransigere con le leggi della natura. Sono solo una candela, un “toldo”, una preghiera ad accompagnare un contadino nell’aldilà. Normale o forse naturale!
Stesso giorno arriva la Croce Rossa colombiana e il gruppo d’Igiene ambientale. Sotto il sole ardente che evapora il temporale della notte ognuno compie il proprio dovere. I medici visitano i bambini, le donne in cinta, gli anziani. Gli ispettori dell’igiene disinfestano le case dal denghe e dalle zanzare. Un mondo a se stante quello del campamento. Un mondo pieno di necessità che potrebbero solo essere esaudite dalla possibilità di essere contadino, donna, bambino, anziano in libertà. In Colombia tutto ciò sembra essere quasi un privilegio.
Inizia la scuola per i bambini e inizierà anche per gli adulti. Anche la scuola sembra essere precaria come la loro giovane vita, la loro casa, la loro salute, il loro futuro.
Non posso credere che lo Stato possa disertare così evidentemente qualsiasi alternativa, che sia quella per i contadini costretti a coltivare piante illecite o quelle per i contadini costretti a fare i taglialegna.
Dubbi, domande, titubanze si susseguono con difficoltà e incredulità, inseguono i loro chiarimenti, le loro risposte che sembrano essere così elementari da far rabbrividire. Allo stesso tempo quelle stesse risposte sono complesse da lasciare attoniti tutti coloro che provano a comprendere il complicato meccanismo che esiste dietro la vita del popolo colombiano così come dell’intera umanità.
I racconti non finiscono perché sono realtà, la stessa che si nasconde dietro i visi dei militari che sono presenti ma non si vedono, che agiscono lasciando segni indelebili nelle memorie, nei corpi.
Anche l’ultima notte, prima del ritorno a Bogotà, arriva e nell’oscurità Don Carlos , contadino de la coperativa, conclude un po’ della sua storia dicendo: “Yo no solo pienso en los colombianos sino pienso en la humanidad” (“io non solo penso ai colombiani ma anche all’umanità”). In questi dieci giorni Don Carlos ha raccontato solo un po’ di Colombia e solo un po’ di mondo. Una parte piccola piccola di storia, di questo paese come dell’universo intero. E ancora non basta per comprendere perché le leggi di uno “sporco mercato” debbano essere più forti di quelle dell’umanità.

Valentina De Luca

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