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<< Hay muchos problemas… >>

13.10.07

Racconto di una wayuu e di una Terra che sta morendo: Mar dei Caraibi, l’altra faccia della medaglia.

E’ una notte di luna piena qua nel Caribe.
Siamo in bassa stagione e a Cabo de la Vela, nella Guajira, dove il deserto si tuffa nel mare. Non ci sono molti turisti.
La cena e’ a lume di candela e ce la porta una signora che ci ha abbordato oggi pomeriggio. << A la orden, senor.. >> e ci propina il solito piatto unico vegetariano che un colombiano sia in grado di concepire: riso, cipolla cruda e pomodori, uovo unto da improbabile olio di palma (funge meglio da carburante!) e patacones.
Anche se la sbobba e’ identica a sempre, questa volta la cena ha un finale a sorpresa: la signora che ci ha servito aspetta che i nostri piatti siano vuoti, poi, silenziosamente, si siede con noi.
Isaida è una wayuu, un’indigena americana, come tutti gli abitanti di questo villaggio.
Subito ci chiede cosa facciamo e dove andiamo.
Appena capisce che non siamo semplici turisti, ma che siamo lì con una ONG internazionale, lavorando per il rispetto dei diritti umani, comincia a raccontare cosa succede alla sua terra.
<< Qui siamo pieni di problemi. >> inizia << L’ultimo è quel parco eolico: produce energia elettrica e l’hanno costruito proprio dentro la riserva. Non ci hanno chiesto nulla. >>.
Ma a Cabo de la Vela l’energia elettrica non è mai arrivata. Il governo ha costruito i pali e fatto passare i cavi, attraverso il deserto fino a lì, ma non ha mai fatto passare un volt. Anzi, ormai se ne sta venendo giù tutto: ogni tanto si sente un botto ed è un pezzo di palo di cemento che cade nel cortile di casa, o sfonda il tetto fatto di lamiera ed eternit. I lampioni dell’illuminazione pubblica hanno fatto la stessa fine. Una volta e’successo che questi pali si sono illuminati. Quando è venuto in visita Uribe, il presidente colombiano << C’era pure internet. >> ride sarcastica Isaida.
Mentre conversiamo si sentono un paio di botti. Non sono ne’ i pali che cadono, ne’ tuoni di qualche tempesta caraibica. Sono colpi di mortaio che spara l’esercito. Si, perché l’ultimo regalo governativo è quella base militare che incontri in piena riserva wayuu, svoltando per Cabo de la Vela.
Il viso di Isaida si fa più cupo. << Hay muchos problemas >> ripete << Hay muchos problemas >>.
Per arrivare a Cabo abbiamo preso un fuoristrada da Uribia, alle porte della riserva, gia’ in pieno deserto. Ammassati come polli, tutti a reggersi stretti stretti nel cassone posteriore o sul tetto, tenendo lo scatolone con i viveri o il bimbo che ti dorme addosso.
Come ci allontaniamo da Uribia l’asfalto della statale colombiana lascia il posto allo sterrato.
E sai che sei entrato nella riserva.
Ci sono dei binari che vedi lungo quella strada di sassi.
E’ la ferrovia della miniera di carbone del Cerrejon.
<< Attraversa tutta la riserva wayuu >> ci racconta Isaida << e giù giù fino al mare.. Li’ noi ci seppellivamo i nostri morti. E’ un cimitero wayuu: c’è sempre una grande cerimonia quando muore un wayuu, si prega la Madre Terra, gli avi, e si mangia tutti insieme. Ma >> continua Isaida << ora c’è una recinzione e ci hanno costruito pure un porto per imbarcare il carbone che arriva dalla miniera. Ci hanno detto di andare da un’altra parte a fare funerali e che da lì si dovrà trasferire tutto quanto. E’ il progresso, dicono..>>. Isaida e la sua gente non riescono neanche più a celebrarlo il funerale. Perché i fumi neri della polvere del carbone spostato, trasportato, ammassato, non permette neanche di mangiare tutti insieme, come vuole la millenaria tradizione wayuu.

Quegli stessi fumi, poi, inquinano tutto: l’aria, l’acqua, le piante, gli animali e le persone.
La riserva wayuu ospita tristemente la miniera di carbone a cielo aperto del Cerrejon, una delle più grandi del mondo. Il materiale estratto viene poi trasportato fino al Porto Bolivar dove viene poi imbarcato.
Tutto questo provoca gravi danni ambientali. Ma e’ li’, nel Carrejon, a monte, dove ne provoca di più. << La mia gente muore. >> racconta la nostra amica wayuu << I bambini hanno orecchie e naso pieni di polvere nera. A quindici-venti anni iniziano ad ammalarsi e non arrivano a compierne trenta: chi vive attorno a quella miniera è destinato a morire. La mia gente sta morendo. >> ripete.
La candela che illumina il tavolo sta per finire.
Isaida si alza ed entra in casa per prenderne una nuova, la accende, si siede e ripete << Hay muchos problemas. >>.
Io per un attimo provo vergogna.
Perché so che quel carbone che sta ammazzando la sua gente serve alla mia gente, a noi, agli occidentali, quelli che di anni ne arrivano a compiere anche novanta.
Perché siamo comodi, al caldo, puliti, rubando risorse a posti come il Cerrejon.
E me ne vergogno.
Ma la Colombia e’ una democrazia, ci sarà pure qualcuno al governo che li aiuta, che difende i diritti dei wayuu. << Abbiamo votato per anni. Ora io mi sono stufata. >> racconta Isaida << Ogni sindaco o governante si e’ venduto la nostra terra, la nostra vita. Abbiamo allora provato ad eleggere un rappresentante wayuu. E’ stato anche peggio. Tempo fa sono arrivati degli amministratori del governo. >> riprende Isaida << Avevano una carta in mano che diceva che ce ne dovevamo andare entro quattro giorni. Siamo riusciti a restare, ma non so per quanto tempo ancora. Dicono che la spiaggia e’ terreno pubblico e che noi, con le nostre baracche, siamo abusivi. >>
Il sindaco della zona è ora un wayuu. E dice che deve far rispettare la costituzione democratica.
Ma la legge indigena e’ più antica di quella colombiana.
Su tutto quel tratto di costa c’è un mega-progetto di un complesso turistico, Isaida l’ha visto.
Si, perché in alta stagione Cabo de la Vela è piena di stranieri che hanno molti soldi da spendere.
<< Dicono che non siamo cortesi con i turisti. >> dice Isaida << Ma a noi non interessa: se i turisti non vogliono venire da noi non ci interessa, facciamo anche a meno! >>.
Cabo de la Vela esiste da sempre, da prima che sbarcassero i conquistadores.
<< Siamo qui da trentamila anni >> sostiene Isaida << e loro ci vogliono togliere tutto. Il governo non ci passa l’acqua potabile o il telefono ma vuole le nostre case. >>.
Altro problema e quello del cibo: la pesca a strascico introdotta dal solito “progresso” ha rovinato la fauna marina ed ora questi villaggi sul Mar dei Caraibi, dove una volta tiravi su anche le perle, non riescono più neanche a vivere di pesca.
<< Vogliono a tutti i costi che ce ne andiamo.

Ma noi non possiamo.
Questa e’ la nostra terra, quella che era la terra dei nostri avi. >> prosegue Isaida << Cabo de la Vela e’ il posto dove le anime dei wayuu arrivano: ovunque tu viva, in Colombia, in Venezuela, negli Stati Uniti, in Germania, se sei un wayuu è qui che viene la tua anima quando muori. Questo e’ un posto sacro. >>.
Finisco l’ultimo sorso di cirrinci, la tipica grappa indigena, fatta con canna da zucchero.
Ci scambiamo i numeri. Le promettiamo che torneremo presto per aiurtarli a denunciare la loro situazione.
Perché provo vergogna, ne provo davvero tanta, ma non voglio nascondermi.
Voglio reagire, fare qualcosa per loro, aiutarli ad alzare la testa e fermare quell’orrore.
Lo voglio fare perche’ questa gente, i wayuu, gli indigeni d’America, hanno una vita, una cultura, dei valori.
E la mia gente, gli occidentali, devono conoscere la storia di Isaida e della sua gente, lo spirito di comunità, di umanita’, di rispetto per la Madre Terra.
Perche’ se questo popolo muore, con loro moriranno tutti questi valori.
E chi ce li potrà più insegnare?

autore: prx(b_s)

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